sabato, febbraio 19, 2011

Appunti per un corso sulla comunicazione medico paziente

      

Non mi sento di insegnare in un corso di questo genere, ma solo di condurre per mano oppure spingere, o meglio sospingere. Uno sparring partner al servizio di gente non necessariamente entusiasta di fare un corso del genere. Mi basterebbero professionisti curiosi che vogliano solo passare delle ore per saperne di più del loro modo di stare nel mestiere. Che non si sentano onnipotenti, ma solo artigiani con le orecchie ben aperte. Null'altro.

Vorrei trasmettere nessuna nozione di quelle del tipo "ho la formula in tasca". Nessuna bacchetta magica. Piuttosto il vuoto mentale, uno zen in più per aprirsi all'ignoto. Lui, il paziente che potrei essere io. Ed io lo specialista che potrei anche ammalarmi e restringermi / calarmi / sprofondare all'altezza della malattia. Malattia che non è qui da descrivere come condizione patologica, ma significato sociale, ruolo, attesa, regola da infrangere.

Potrebbe essere questo corso un tempo di provocazioni continue, la beffa, lo stravolgimento delle regole e questo mi attira perché è nelle mie corde. Ma dovrei essere molto più intelligente e scaltro di quanto io sia mai stato. Ci penserò, devo ripromettermi di costruirlo così il mio, questo nostro corso. Avrò bisogno di Beppe Rocca, uno del mestiere che sa stare anche altrove. E filmati, fumetti, anche roba forte che picchia sul cuore e da calci nelle gengive? Prendendo magari anche un pò di cervello, sempre senza far troppo male. Dato che l'educazione degli adulti non impippa nulla a gente sgamata, complessa e murata. Incuriosire con concetti e estetiche diverse da quelli usuali al mestiere. Mi sento già sconfitto se penso di dover essere costretto già da ora  a far girare il solito trito Dr. House che dice le solite banalità circa questo nobilissimo mestiere che mal si adatta alle favole televisive. Piuttosto parlo di "Sabato" di Ian Mc Ewan, oppure del ritorno dall'India di Abraham Yehoshua. O di fumetti...

     

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