In quest'ultimo periodo ci son stati ben quattro film che ho visto. Tutti non molto attrattivi per me. Che ci posso fare: sarà che non è il periodo giusto per gustare del cinema?
Il primo "L'amore ai tempi del colera" di Mike Newell, tratto dall'omonimo romanzo di Gabriel Garcia Marquez è godibilissimo per la particolare storia che narra. Un filmone hollywoodiano ben confezionato che ci fa apprezzare ancor più l'arte narrativa dello scrittore e null'altro. Chi non avesse mai gustato quest'opera potrebbe chiedersi come fa uno con quella faccia da sfigato a rimorchiare in maniera così spudorata, ma tant'è.
Il primo "L'amore ai tempi del colera" di Mike Newell, tratto dall'omonimo romanzo di Gabriel Garcia Marquez è godibilissimo per la particolare storia che narra. Un filmone hollywoodiano ben confezionato che ci fa apprezzare ancor più l'arte narrativa dello scrittore e null'altro. Chi non avesse mai gustato quest'opera potrebbe chiedersi come fa uno con quella faccia da sfigato a rimorchiare in maniera così spudorata, ma tant'è.
Meglio l'ultima prova di Mimmo Calopresti con "L'abbuffata", un film sopra un film tutto da costruire. Un saggio cinematografico su cosa resta di quest'arte e di cosa avrebbe potuto diventare col coraggio e la voglia di testimoniare. Ma che in un'epoca di morte dei contenuti (vedi Lisbon story ed in generale tutta la filmografia di Wim Wenders) non ha più nessuna realtà da riprodurre. All'amarezza di questa constatazione si contrappone la vivace interpretazione e la presenza di questa grande voglia di comunicare.
Couscous è invece un'altra opera povera, come la precedente, ma ben diversa come tecnica e contenuti. Se Calopresti se ne infischia sonoramente di cosa può sentire il Pubblico, in questo film mi hanno colpito alcuni dialoghi come quello dello sfogo della moglie russa tradita, al limite della sopportazione, costruito scientemente in modo da graffiare lo spettatore, della serie o mi rifiuti o cerchi di entrare dentro i miei sentimenti. Il film trionfatore del festival di Venezia mostra ancora una volta un pessimismo di fondo che scorre continuamente fotogramma dopo fotogramma, su una trama di sfruttamento, alienazione, rivincita del perdente sceneggiata nei toni modernissimi del presente.
L'ultimo che ho visto è Lussuria di Ang Lee, spy story ambientata nella Shangai occupata dai giapponesi nel '42. Molto tenero ritratto della dedizione ad una causa fino al proprio annientamento. Come Couscous la morale è "troppo buoni è uguale a coglioni".
3 commenti:
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