sabato, agosto 21, 2010

Il mio amico Maurizio





La prima parola pensando a lui è “kaimano”, una definizione che molto tempo fa lui stesso si era assegnata grazie alla sua spiccata ironia. Per via della sua involontaria appartenenza al popolo prealpino di Lombardia che a dispetto della propria migrazione al nord da un paese siculo in tenerissima età, pare piuttosto lui abbia contribuito a colonizzare. I

Il popolo di kaimanland non poteva comprenderlo, anche perché più che kaimano è popolo di trote facce tetre con affissa al volto una sorta di “vedete son stato io il primo della classe”, “ho risposto per primo” oppure “ce l'ho fatta a parlare in pubblico, mentre mia mamma diceva che sono un timidone, tiè”. Mi ricorda molto una mia vecchia fiamma di quelle terre che tale atteggiamento usava spesso dopo l'amore ("vedi ti ho fatto godere anche stavolta, tié").

Gente così non la chiamerei kaimana, ma tant'è che questa definizione fa da collante della nostra lunga lunghissima amicizia.
Un ragazzo che anche a distanze siderali non puoi che sentire vicino e anche quando l'identità vacilla c'è la memoria di lui a riportarti a galla come essere unico e solidamente piantato su enormi fondamenta a questa terra.

Di una così lunga amicizia si potrebbero scrivere tomi su tomi ma è più divertente pescare qua e là. Ad esempio, raccontando come esattamente dieci anni fa in occasione della mia decennale tragedia (ho una tragedia esattamente ogni dieci anni, non è da tutti) ci trovavamo sulle amene rive del Garda piazzando la mia minuscola canadese al centro di un praticello verdissimo circondato da casette in legno con un numero circa il doppio di ameni turisti. Era sera, la sfighissima gliel'avevo già accennata per sommi capi ed invece di piangere sulle mie disgrazie, iniziai a far la parte della checca che amorevolmente tira su l'alcova per l'amante lungamente atteso.

Gli sguardi ed i commenti di ripulsa dei vicini erano altrettanto chiari quanto la mia voglia di passar sopra la tragedia svolazzandoci su e magari spernacchiandola. La sua presenza, posso confermarvi, è motivo di svolazzi e grida giocose. E due giorni dopo, partito l'amico, la stessa alcova era destinata a ben altri riti, abitata che fu dall'attuale madre di uno dei miei figli. I vicini non sentirono più gridolini scheccanti, ma l'impetuoso incedere dell'inno “efforzaitaliaperrcrescereliberi”, come contrappunto ad uno dei più esilaranti incontri d'amore mai avvenuti presso quel sito rivierasco.

Se è vero che siamo specchi l'uno dell'altro, Maurizio m'induce a risvegliare il rivoluzionario che è in me. Sepolto per anni sotto questo sarcofago di buon democratico di centro sinistra, in sua presenza si scatenano l'inferi della memoria del 77, schiere di autonomi in miniatura scoperchiano la spessa lastra di marmo centrista e si erge in tutta la sua possenza la tremenda figura sacerdotale del prealpino: “guevara, libertad o muerte, clash e sex pistols, liberazione e fiom risvegliate questo cadavere dal sonno moderato.” E la mummia dalemiana s'erge al cospetto di tanta rivolta, indossando in breve lasso di tempo la sciarpa arcobaleno e assumendo movenze rock 'n roll. Muovendo alfin la schiera dei Mrisorti katanga alla ferale domanda "Ma te non eri morto?”

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