Ieri mi son recato al Cimitero paesano sulla tomba di mio padre. Sta in mezzo ad altre d’identico marmo, con identiche croci. Per lui avrei preferito il bianco di Carrara, ma tant’è. Così se ne sta in disparte dalla cappella di famiglia, lui che era diverso riposa per sé, distante dai parenti acquisiti. Non ne aveva il diritto e per questo il suo posto è un luogo diverso e distante, quasi come privilegiato, rispetto alle storie di parenti morti dall’inizio del 900 e nati alla fine del secolo prima. La cappella di famiglia ha un posto in alto a sinistra in nudi mattoni ed è pronta ad accogliere il prossimo che morirà e che inaugurerà la terza o quarta fila. Mi chiedevo chi potesse essere e nello stesso tempo pensavo ai greci antichi, al loro morire come atto naturale.
“Come le foglie che fa germogliare la stagione di primavera
ricca di fiori, appena cominciano a crescere ai raggi del sole,
noi, simili ad esse, per un tempo brevissimo godiamo
i fiori della giovinezza, né il bene né il male conoscendo
dagli dèi. Oscure sono già vicine le Kere,
l'una avendo il termine della penosa vecchiaia,
l'altra della morte. Breve vita ha il frutto
della giovinezza, come la luce del sole che si irradia sulla terra.
E quando questa stagione è trascorsa,
subito allora è meglio la morte che vivere.”
Mimnermo. VII sec. a.C.
ricca di fiori, appena cominciano a crescere ai raggi del sole,
noi, simili ad esse, per un tempo brevissimo godiamo
i fiori della giovinezza, né il bene né il male conoscendo
dagli dèi. Oscure sono già vicine le Kere,
l'una avendo il termine della penosa vecchiaia,
l'altra della morte. Breve vita ha il frutto
della giovinezza, come la luce del sole che si irradia sulla terra.
E quando questa stagione è trascorsa,
subito allora è meglio la morte che vivere.”
Mimnermo. VII sec. a.C.
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