lunedì, ottobre 25, 2010

Scriviamo sui muri


Ancora scritte murali, immagini ritrovate in una cartella al lavoro, del tempo (tre anni fa e mezzo fa) in cui mi sono occupato con Alessandro, pontederese di chiara fama, dell'argomento in questione. 

L'amicizia con Alessandro mi portò a conoscere un piccolo (solo come dimensioni aziendali) simpatico editore che mi regalò un libro fantastico.

Nel libro c'erano cose tipo queste qua che vedete sopra, ma suddivise in tanti argomenti fra loro intimamente collegati ( amore, droga, amore per la droga, ecc.) 

Le scritte murali sono un racconto popolare che la città scrive sulla sua propria pelle. Una ragnatela di tatuaggi che messaggeri imbrattatori dipingono nell'ombra per avvisare, imbonire, ma sempre in ogni caso e volutamente per catturare l'attenzione degli altri. 

Le scritte non sono graffiti. Stanno a questi ultimi come un romanzetto popolare sta alla Divina Commedia. Ma a differenza degli oggetti d'arte irrompono nella città con un'identità che vorrebbe mostrarsi ma non può mai farlo. Invece il graffito è arte senza artista. La scritta vive perché dietro c'è l'imbrattatore, professionista o meno che firma e si firma per attirare.

E usa l'umorismo e la spudoratezza. Ricerca l'attenzione del pubblico giacché senza di questo non avrebbe ragion d'essere. Il graffito ha un'altra dislocazione: vive di per sé, si libra nella città come fantasma, non ha regole e non ha confini, non cerca consenso, ma è pura espressione anonima. Per questo vive come arte. La scritta avvisa ed è banalità pura, quindi ironia nel/del quotidiano.


 

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